La storia dell’oliva taggiasca: quando nasce il connubio tra l’olivo e la Liguria?
Diversi archeologi e botanici hanno reso nota la presenza dell’olivo in Liguria già nel VII secolo A.C.
Al tempo i greci di Focea, una colonia dell’Asia Minore, portarono la pianta dell’olivo nella Gallia Meridionale.
Qui fondarono Massaglia, odierna Marsiglia e colonizzarono Nizza.
Dal sud della Francia alla provincia di Imperia la distanza è breve.
Altra ipotesi di alcuni storici è insediarla nel ponente ligure importata dalla Terra Santa al tempo dei Crociati.
La presenza storica dell’olivo in Liguria
A supporto di una presenza già storica dell’olivo in Liguria troviamo un documento del 774 D.C.
In questo documento Carlo Magno concede a Guinibaldo, abate di Bobbio, un “podere con oliveto”.
Nel 979 D.C. è emessa una petizione di coloni al vescovo di Genova per avere in affitto alcuni terreni nella zona compresa tra Ceriana e Taggia, sui quali sorgeva la clausola “esclusi gli oliveti”.
Da questi documenti notiamo come l’olivo fosse già coltivato in Liguria, anche se in misura modesta, prima dell’arrivo dei monaci Benedettini dalle isole di Lerino (odierna Provenza) nel ponente ligure.
Questi ultimi incrementarono la coltivazione dell’olivo in Liguria, razionalizzando i metodi di coltivazione, nonché attribuendo l’origine del nome della cultivar al luogo di impianto dei vivai.
Da Taggia verso altre zone italiane
Da Taggia questa cultivar si diffuse anche in altre zone d’Italia.
In nessun’altra area però crebbe mai con caratteristiche organolettiche uniche come nella provincia di Imperia.
Qui, per ovviare alla conformazione del terreno con colline scoscese a picco sul mare e quindi poco adatte alla coltura dell’olivo, i monaci iniziarono a dare vita alla creazione di terrazzamenti in pietra a secco.
Erano molto complessi e tanto faticosi, ma trasformano le colline liguri in uno splendido anfiteatro sul mare.
Sono gli stessi Benedettini che costituirono i primi contratti di Mezzadria.
Il vescovo Teodolfo li stipulò a Sanremo nel 963 D.C. con venti famiglie locali restituendo alla coltivazione le terre che la chiesa possedeva, dopo la cacciata dei saraceni.
Rileviamo comunque che da qualsiasi zona provenga questa pianta, fu nel territorio imperiese che trovò le condizioni più favorevoli per il suo sviluppo.
Oggi, questa oliva viene denominata Taggiasca e le sue caratteristiche e peculiarità si riscontrano solo in questo territorio che si estende dal confine Francese a Capo Mele.
Grazie alla qualità del terreno, alle condizioni atmosferiche e alla fatica dell’uomo, questa oliva diventa uno degli oli più delicati del mondo.
Nel tardo medioevo però, l’olivo era considerato una pianta secondaria nell’economia locale.
Era spesso usato per delimitare confini ed altre coltivazioni.
Il frantoio
Il primo “gombo”, termine ligure che sta ad indicare il frantoio, è menzionato in documenti ufficiali per la prima volta nel 1205.
Lo citò un certo Bonaventura Marzano di Ardizzone che concesse all’abate di S. Stefano un fondo di Villaregia.
Negli statuti di Apricale del 1267 per la prima volta in Liguria fu fissata una tutela al frutto dell’olivo con sanzioni a carico di chi ruba le olive.
Nel 1357 a Oneglia fu stabilito il dazio sull’olio proveniente dalla valle Impero.
Nel 1363 a Diano Castello furono sancite con un apposito capitolo nello statuto “De Gombis olei” norme riguardanti i rapporti di buon vicinato: utilizzo dei frantoi e introduzione della servitù reciproca delle “pendane”, per concedere la raccolta del frutto caduto nel terreno del vicino, consuetudine protratta fino ai giorni nostri.
Il sopravvento dell’olivo
È dopo la metà del 1500 che l’ulivo sovrasta le altre colture del territorio, cioè la vite ed il fico, anche grazie all’apertura dei commerci oltreoceano tramite navigazione.
Siamo in un’epoca in cui la coltivazione dell’ulivo ed il suo derivato principale, l’olio, nella nostra zona si affermano.
L’olio Taggiasco di Oneglia e Porto Maurizio (odierna Imperia) è già noto come “olio perfetto ben conosciuto in tutta Italia”.
Ma è nel 1700 che si ha l’impulso determinante dell’olio Taggiasco.
L’ondata di gelo che colpì tutta l’Europa, in particolare la vicina Francia e tutti gli oliveti della Costa Azzurra, costrinse i francesi ad acquistare l’olio nella vicina provincia di Imperia.
Il prezzo dell’olio da olive Taggiasche aumentò e fu il momento di maggiore espansione dell’olivicoltura ligure.
Questo fu un volano per tutte le attività collegate al commercio dell’olio, ma al contempo furono abbandonate definitivamente tutte le altre colture.
Tale scelta si rivelerà azzardata, in quanto “dal 1788 al 1807 ci furono due raccolti pieni, cinque mediocri, otto cattivi e cinque nulli”.
Quando le annate erano buone però, l’olio di oliva ligure era trasportato lungo antichi itinerari di comunicazione tramite lunghe carovane di muli, cariche di otri contenenti il prezioso oro ligure.
La stessa cosa avveniva via mare dove i porti brulicavano di gente e di olio.
Nel periodo Napoleonico il commercio dell’olio d’oliva dell’imperiese fu molto siginificativo.
Pensate che, nella suddivisione operata dai francesi, questa parte della regione fu chiamata nel 1803 “Giurisdizione degli ulivi”
Lo stop e l’inversione di tendenza
Alla fine del 1800, precisamente con il terremoto del 1887, la coltivazione dell’olivo subì un’interruzione.
Tale stop colpì duramente tutto il ponente ligure ma, come ricorda lo storico Nello Cerisola, influì positivamente sull’economia, poiché:” Dalla ricostruzione, l’economia locale riceve una benefica scossa e, soprattutto nell’Onegliese, gli operatori iniziano a sfruttare maggiormente le loro risorse, principalmente quelle notevoli del settore oleario”.
Con la trasformazione della società da agricolo-commerciale ad industriale, la manodopera abbandonò le campagne per andare a lavorare in città nelle crescenti industrie.
Tra queste industrie, ad Imperia, spiccavano quelle d’olio che raggiunsero dimensioni tali da dover importare dall’estero o da altre regioni grandi quantitativi oleari, accantonando o solo sfiorando l’olio locale.
La più grave ferita impartita agli olivi taggiaschi fu il taglio indiscriminato di almeno 600.000 piante durante la prima guerra mondiale poiché il legno d’ulivo serviva come sostituto al carbone nei grandi impianti industriali del nord Italia.
Ci fu un’inversione di tendenza terminata la seconda guerra mondiale.
Molti frantoi, addirittura 976 censiti nel 1948 in provincia di Imperia, ripresero la loro attività per una crescente richiesta di olio di qualità da parte del mercato.
In questi ultimi decenni la valorizzazione dell’olio extravergine di oliva Taggiasca crebbe così tanto da renderlo ricercato ed apprezzato in tutto il mondo.